
Il Giro d’Italia ha sempre avuto il suo fascino, e lo esercita anche su quei pochi bolognesi che non amano la bicicletta. In questi due giorni di Giro sotto le due torri, la città tutta, dal centro verso la prima periferia si è tinta di rosa, bandierine, copricapi improvvisati o berretti comprati nelle varie bancarelle, hanno colorato la città nonostante la pioggia.
Il Giro, fin dalla cronometro di sabato che partiva da piazza Maggiore per arrivare fino a San Luca, ha regalato tantissime emozioni, rievocando un attaccamento verso questo sport che in molti aspetti sembra epico, immortale, tantissimi bimbi, tantissime famiglie a seguire i tacchetti chiodati che facevano forza sui pedali, per una rievocazioni di imprese, che forse nello sport attuale non si vedono più. Nonostante il ciclismo, negli anni recenti, ha scritto anche pagine a luci rosse, e non rosa, con i vari scandali e squalifiche per doping, rimane pur sempre uno sport di gregari che spingono il gruppo, di assi che nascono uno su mille, come cantava Gianni Morandi, che con ogni tipo di tempo e gradi, è lì pronto a dare tutto quello che il suo corpo può offrire per unire l’Italia, come fece un tempo Garibaldi. Di sicuro ha unito Bologna, che per due giorni è stata la capitale di questo sport a due ruote, tutti dietro le transenne a tifare come allo stadio per la nostra squadra di calcio, tutti pronti a fare festa al passaggio dapprima dei singoli attori, che si dovuti sciroppare la crono fino a San Luca, (zeppo di scritte sull’asfalto a inneggiare il buon vecchio Pantani o schermire gli odiati nemici della Juve), senza osservare alcun fioretto, promessa o voto, ma solo allo scopo di divertirsi e fare brillare ancora una volta negli occhi dei bolognesi l’ammirazione per questi eroi in carne e ossa che sudano e tirano i denti sui tornanti e non sonno certamente cloni virtuali di quelli di un tempo, cosi Vincenzo Nibali e il campione italiano Andrea Viviani, diventano come Di Vaio e Signori, acclamati da tutti. Loro non si danno arie, sanno che il Giro appartiene alla folla, alla gente e, in questi due giorni, a noi bolognesi, dunque si fermano per fare autografi, foto e selfie, che li renderanno immortali negli anni, come la mostra fotografica dedicata a Fausto Coppi, rigorosamente con scatti in bianco e nero, che fissano anche il momento in cui il grande campione di umanità, si fermò a parlare con la grande cuoca Nerina per carpire il segreto dei tortellini. Si perché il Giro è tutto questo, è prima di tutto il contatto con la gente, che lo rende speciale, il Giro è della gente e appunto per due giorni è stato dei Bolognesi e non solo, visto che in città si potevano notare anche tantissimi tifosi stranieri con le loro bandiere, con i loro accenti diversi dei nostri, che tifavano per i ciclisti. E poi il Giro quando arriva ti travolge con le sue carovane zeppe di allegria e rumore, che fanno baccano e colore, con le ammiraglie bellissime con sopra le bici, che ti fanno sognare, e la città, nonostante il tempo, la senti pulsare, la senti viva, il centro respira a pieni polmoni e si aggrappa ai suoi campioni poveri, perché si sa che da sempre il ciclismo non ha la pilla del calcio o di altri illustri sport. Il Giro è come un tornado che arriva e scombina la città e poi scappa via come domenica, quando la carovana tutta al completo, da via Ugo Bassi, non prima di avere lanciato un messaggio al mondo: “Stop the war on children”, è partita verso Fucecchio. Proprio come un tornado, lasciando però un sorriso, una bandana o una bandierina in mano a tanti giovanissimi bolognesi. E per due giorni tutti noi ci siamo sentiti un po’ corridori.
Danilo Billi