Ciao Kobe e Gianna, vi ameremo sempre!!!

Il leggendario Kobe Bryant star dei Los Angeles Lakers, è morto domenica 26 gennaio, a 41 anni, in un incidente in elicottero in California, nella contea di Los Angeles. Nove le vittime, tra cui anche l’amata figlia del campione Gianna Maria. Bryant era a bordo del suo elicottero privato. Il velivolo ha preso fuoco una volta precipitato e inutili sono stati i soccorsi.

Gianna Maria, 13 anni, era un astro nascente del basket femminile.

Si indaga ancora per scoprire le cause che hanno provocato l’incidente, dovute forse alle condizioni metereologiche proibitive.

Bryant lascia oltre alla moglie Vanessa anche gli altri tre figli: Natalia, Bianca e il neonato Capri. L’elicottero, prima di precipitare, stava dirigendosi alla Mamba Academy, l’accademia di basket fondata dal campione, per una mattinata di allenamenti.

Sul veivolo c’era anche John Altobelli, 56 anni, coach della squadra di basket dell’Orange Coast College, che si trova nella contea californiana di Orange dove vive la famiglia Bryant. Con lui anche la figlia teenager, Alyssa, e la moglie di Altobelli, Keri.

Alyssa Altobelli era compagna di squadra di Gianna Maria, la figlia di Bryant.

L’elicottero era un Sikorsky S-76B del 1991. Un mezzo molto grande introdotto sul mercato nel 1977, usato soprattutto da vip, compresa la Regina Elisabetta, e adattato nel tempo a diversi ruoli, soprattutto quello del trasporto medico grazie al grande spazio al suo interno. Quindi era molto sicuro.

Ma chi era Kobe Bryant?

Per quei pochi che non lo conoscevano Kobe Bryant era conosciuto in tutto il mondo anche da chi non seguiva la pallacanestro. Era un’icona di vita, sport, bellezza, moda e umanità.

Era solare, infatti aveva sempre un sorriso per tutti: compagni, avversari e arbitri.

Era esplosivo nell’entrare a canestro. Riusciva a infilare la palla nel cesto in maniera perfetta, muovendosi con grinta, forza ma anche grazia.

Kobe Bryant era molto amato anche in Italia, tra l’altro parlava perfettamente la nostra lingua, dove era cresciuto in particolare a Reggio Emilia.

Infatti, era figlio dell’ex giocatore Joe “Jollybean” Bryant, che aveva trascorso parte della sua carriera in diverse squadre di casa nostra (Rieti, Reggio Calabria, Pistoia, e proprio Reggio Emilia).

Il nome Kobe gli era stato dato dal padre perché lo stesso, quando seppe la notizia che aspettava un figlio, stava ordinando al ristorante la sua carne preferita. “Kobe” appunto.

Kobe è stato “il” campione degli ultimi 20 anni. The “GOAT”. The Greatest Of All Times.

Dopo Michael Jordan, prima di LeBron James, Kawhi Leonard e degli altri campionissimi a venire.

È stato anche l’unico giocatore NBA di cui siano state ritirate due maglie, perché ha giocato sia con la numero 8 che con la 24.

Sempre dei Lakers, sempre fedele ai “propri” colori giallo viola, in un’epoca in cui non succede più, in nessuno sport.

Spike Lee ha dedicato a lui un film magnifico, Kobe Doin’ Work, nel quale l’obiettivo è puntato sull’intelligenza del campione, mostrandone una sfida contro i New York Knicks e commentando il match proprio insieme a Bryant.

Kobe ha vinto 5 campionati NBA, due ori olimpici con la nazionale USA e un premio Oscar, questo grazie ad un bellissimo cortometraggio animato Dear Basketball, ispirato alla lettera che ha dedicato alla pallacanestro al momento del suo ritiro nel 2016.

Padre di quattro femmine, a chi gli domandava se sentisse la mancanza di un maschio che seguisse le sue orme, rispondeva: “Ho la mia Gianna, che porterà avanti il nostro nome nel basket!”.

Ma purtroppo c’era anche Gianna su quell’elicottero!!!

Questo il testo della meravigliosa lettera che Kobe ha dedicato al basket, diventata poi il corto da Oscar.

“Caro Basket,

dal momento che ho iniziato ad arrotolare i calzini di spugna di mio padre e a tirare con l’immaginazione dei canestri vincenti seppi subito che la verità era una: mi ero innamorato di te.

Di un amore così immenso che ti ho dato tutto, dalla mia testa al mio corpo, dal mio spirito alla mia anima.

Da bambino di sei anni profondamente innamorato di te non ho mai visto la fine del tunnel, vedevo soltanto me stesso che ne percorreva uno.

E per questo ho corso, su e giù ogni partita, ho corso dietro a ogni palla persa e l’ho fatto per te. Mi hai chiesto impegno e io ti ho dato il cuore, perché c’era tanto altro dietro.

Hai dato a un bambino di sei anni il suo sogno di essere un Laker. E io ti amerò sempre per questo. Ma non posso continuare per molto ad amarti così ossessivamente.

Questa stagione è tutto quello che ancora posso darti. Il mio cuore può sopportare la battaglia. La mia mente può gestire la fatica. Ma il mio corpo sa che è ora di dirti addio.

E sappiamo entrambi che qualsiasi cosa io farò nel futuro, sarò sempre quel bambino di sei anni, con i calzettoni tirati su, un secchio della spazzatura nell’angolo, con 5 secondi sul tabellone e con la palla in mano.

5… 4… 3… 2… 1.

Ti amerò sempre, Kobe”.

Cosa aggiungere?

Kobe con la sua scomparsa, ha veramente unito tutti, sportivi e non, un maledetto boomerang carico di questa tragedia che nell’epoca digitale ha fatto il giro del mondo, rimpallandosi fra web e telegiornali alla velocità della luce.

A Bologna, per esempio, la notizia è arrivata all’intervallo della gara casalinga della Fortitudo e subito la Fossa ha fatto uno striscione, applaudito da tutto il palazzo, che si è alzato in piedi con i brividi sulla pelle per tributargli un lunghissimo applauso, mentre tantissime altre dimostrazioni d’affetto verso questo grande campione sono partite anche da diversi gruppi del tifo organizzato di Virtus e Fortitudo stessa dove, prima di un derby di Csi fra Vecchie Maniere e Unici, tutti si sono stretti attorno ad uno striscione che recitava: “Il dolore ci unisce. Ciao Kobe #24”.

Come tanti stati gli striscioni che nelle varie città d’Italia sono apparsi appesi davanti agli stadi e ai palazzetti.

Nella “sua” Reggio Emilia, ad esempio, un telo, sporcato dal nero di una bomboletta spray, recitava semplicemente così: “Ciao Kobe, reggiano per sempre” ed era appeso davanti al Palasport.

Il Sindaco Luca Vecchi ha dichiarato sui social che a lui sarà dedicata la piazza proprio davanti al palazzetto.

Profondo dolore anche in casa AC Milan, di cui Kobe era grandissimo tifoso, e che a lui ha dedicato speciali sul suo canale Tv privato e sui social, per poi chiedere e ottenere dalla Lega Calcio di giocare il turno di Coppa Italia dello scorso martedì con il lutto al braccio, prima di un lungo e interminabile minuto di silenzio, uno straziante e struggevole silenzio che solo la morte può portare in uno stadio di calcio.

Ma perché Kobe era cosi amato da tutti?

Una domanda semplice che nasce quasi spontanea!

Perché era una persona semplice, nonostante la sua fama. In una video intervista di tanti anni fa, registrata proprio in una sua visita a Reggio, lui stesso parlava e diceva che amava l’Italia perché poteva avere un contatto diretto e non morboso con i tifosi, come invece succedeva sempre in America. Qui lui poteva fare qualche foto, firmare qualche autografo, girare liberamente per la città.

Kobe aveva provato a spiegarlo alle sue figlie ma non avendo mai vissuto in prima persona tutto ciò, loro non riuscivano a capirlo appieno.

In America Kobe doveva per forza isolarsi per proteggere la sua famiglia. Il suo sogno di sempre sarebbe stato quello di aprire una scuola di basket per giovani atleti.

La tragedia di Kobe, in un modo o nell’altro ha segnato tutti, come scrivevo ad inizio di questo articolo, unendo amanti e non amanti del basket, non tanto perché in questo maledetto incidente hanno visto la morte di un simbolo di uno sport, ma un papà che di mattina presto, visto il fuso che ci si separa dall’America, si alzava dal letto per accompagnare, come fanno da noi tanti papà e nonni, la figlia ad un allenamento a cui non sono purtroppo mai arrivati, perché la morte quando arriva non guarda davvero in faccia a nessuno, che tu sia stato una stella di basket, o un semplice papà.

Dunque anche noi della redazione di Radio Digitale non ti dimenticheremo mai!

Ciao campione!!!

Danilo Billi

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