
Questa volta ho rivolto alcune domande a Glenda Cancian, ufficio stampa della Geetit Pallavolo Bologna, che ha accettato di buon grado di rispondere premettendo:
“La risposta a tutte le tue domande è già riassunta, indelebile, sulla mia pelle.
Sul braccio ho il motore della mia vita. Sulla coscia la rinuncia a ogni strumento di oggettivazione della donna, ma anche carnalità, libertà, bellezza”.

Ci racconti la tua storia e come mai da Conegliano sei diventata l’ufficio stampa di una squadra di pallavolo maschile a Bologna?
“Sono cresciuta a pane e pallavolo, mi sono sempre circondata di cose che mi facevano bene e per quanto io cercassi altrove, la risposta era sempre il palazzetto dello sport. Ho cominciato a giocare a pallavolo da piccolissima, quando io e la mia amichetta del cuore volevamo fare uno sport assieme. Fortuna o destino, a scuola hanno distribuito dei fogli per una prova gratuita di minivolley. Da quel giorno questo sport non è mai uscito dalla mia vita. Prima partivo con lo zainetto, con le scarpe e le ginocchiere e mi allenavo, poi nella borsa ho iniziato a portare acqua, patatine e qualche caramella, rigorosamente Haribo, per seguire al palazzetto e in trasferta la serie A delle mio paese: la Spes Volley Conegliano, e poi l’ Imoco, ho un’istintiva tensione verso le migliori (ah ah ah n.d.r.). Quello della pallavolo è sempre stato un ambiente coinvolgente, appassionante, che mi faceva sentire a casa: per me uno stile di vita. Non ho ancora sufficiente esperienza per dire se è vera la frase “choose a Job you love and you will never have to work a day in your life” (scegli un lavoro che ami e non dovrai mai lavorare un giorno in vita tua), ma mossa da questo principio e conscia che essere una pallavolista di professione non era una possibilità, ho iniziato la mia ricerca verso un’alternativa che mi piacesse tanto quanto giocare”.
Così ti sei dedicata al mondo della comunicazione?
“Grazie ad un’amica, alla quale non finirò mai di essere grata, nonostante le nostre vite abbiamo preso strade diverse, mi sono avvicinata al mondo della comunicazione. L’aiutavo nelle interviste, leggevo, con grande ammirazione, i suoi comunicati, collaboravo con lei a trovare nuove idee originali per i social. E in quel mondo, sebbene non da protagonista, mi sentivo la più fortunata di tutte.
A quel punto la scelta universitaria è stata quasi scontata per me. Avevo un obbiettivo ben preciso: ho investito la maggior parte del mio tempo per lo sport, non poteva che essere quello il motore della mia vita e sapevo come lo avrei coniugato con il mondo lavorativo”.

Per questo ti sei trasferita a Bologna?
“Sì, ho maturato il bisogno di trasferirmi in una città che potesse garantirmi la possibilità di approfondire il campo della comunicazione e che, contemporaneamente, potesse offrirmi i mezzi per mettermi subito in gioco, Bologna rispettava perfettamente queste caratteristiche ed eccomi qui. Ricordo ancora l’emozione che ho sentito il giorno della prima riunione con la società della Pallavolo Bologna”.
Quanto tempo è passato e come è cambiata la tua vita?
“Da quel 3 Novembre la mia vita è cambiata completamente: è passato un anno e mezzo, ma penso sia stato il più inteso di tutti. Scrivere di coppe e di campioni è un sogno, ma ora ciò che mi regala la gioia più grande è stato cambiare la prospettiva: non sono più parte del pubblico ma il mio obbiettivo è emozionarlo, grazie ad uno sport che amo per mezzo delle mie parole”.
Adesso hai un ruolo che, solitamente, è ricoperto da colleghi uomini, come ti sei adattata in questo ambiente?
“Il preambolo sembra infinito ma di fatto è l’origine di tutte le risposte: non c’è una Glenda lontana dai campi e nemmeno una Glenda che si è dovuta adattare ad una squadra maschile, perché vivo di pallavolo da sempre, i miei amici più stretti giocano e l’ambiente in cui lavoro non è stato un motivo di sgomento, ma un coinvolgimento più forte in un mondo sul quale non solo mi affaccio, ma in cui trovo la mia linfa vitale da sempre. Ed ecco il perché del pallone da pallavolo, racchiuso in un cuore che mi sono tatuata nel braccio sinistro”.
Nel tuo Instagram posti tante belle foto da influencer, con abiti bellissimi, come si conciglia questo tuo hobby con il lavoro?
“Inutile dire che, nonostante questo, il percorso verso la parità dei sessi non è ancora cosa fatta. L’ingresso di una figura femminile in una squadra maschile genera sempre della malizia, se non internamente, da parte del mondo esterno. Come te, altre mille persone mi hanno chiesto o hanno avuto da sindacare sulla mia gestione dei social o molto più banalmente sul mio modo di vestire.
Io mi sento bene con me stessa e lavoro ogni giorno per migliorare il rapporto con il mio corpo, e quest’ultimo non essendo un oggetto, non dovrebbe mai essere materia invalidante nella mia vita lavorativa. Il mio secondo tatuaggio è un serpente con il duplice significato di distacco verso la concezione del peccato originale, tabù che interferisce con la libera espressione e valorizza il corpo femminile, e di bellezza non standardizzata, personalizzata, carnale e libera”
Secondo te come deve essere sfruttata la presenza femminile nel mondo dello sport?
“Penso che, in un mondo che lotta verso la parità, la presenza di molte figure femminili nello sport debba essere sfruttata per sensibilizzare atleti, addetti ai lavori e pubblico verso la valorizzazione delle competenze che vanno bene oltre il mero aspetto estetico.
A quest’ultimo attribuisco comunque una certa rilevanza: in un ambiente lavorativo che ha come fine ultimo l’interazione efficace con il maggior numero di persone, può essere un valore aggiunto, non l’unico”.

A proposito di informazione sportiva come concludi?
“Concludo dicendo che ancora non ho la ricetta magica per fare informazione sportiva, ma penso che il mio compito sia raccontare la tecnica e soprattutto, scambiare la passione per renderla palpabile ai lettori. Seguirò la strada corretta quando riuscirò a trasmettere tutto l’amore che ho io per questo sport che, posso senza ripensamenti, dire: mi ha cambiato la vita!”.
A cura di Danilo Billi