
-Federico Scarso, come è iniziata la sua avventura con il calcio femminile?
“È nato tutto casualmente. Premetto che amo il calcio e giocavo in porta a livelli bassissimi. Poi ho iniziato dapprima ad andare a vedere come spettatore diverse partite del femminile, prima il Molassana e poi il Ligorna, in serie B. Nella stagione 2017-18 ho fatto parte dello staff tecnico di mister Marco Lo Bartolo, aiutando il preparatore Duilio Falvo ad allenare i portieri del Ligorna. In quell’annata avevamo tante giovanissime promettenti come Bianca Fallico, Federica Cafferata e Teresa Fracas, tutte ragazze che hanno saputo affermarsi anche fuori regione. È stato un percorso meraviglioso, con risultati altalenanti passando dai pareggi con le corazzate Florentia e Arezzo a perdere punti con le ultime in classifica. Risultati dettati semplicemente dall’inesperienza”.
-Da lì è nata una passione sempre maggiore che, per diverso tempo, lo ha portato a scrivere anche su più siti specializzati.
“Assolutamente sì, in particolare ricordo con estremo piacere la mia collaborazione con ‘Donne nel Pallone’, diretto da Giulia Di Camillo. Fu una collaborazione pluriennale e posso dire che, anche grazie agli insegnamenti di Giulia, ora saprei stare in una redazione e stendere un articolo. Attualmente il sito è inattivo per impegni lavorativi di tutti. Io, in primis, avevo dovuto lasciare per una questione di deontologia professionale, essendo stato contattato da un’agenzia che mi aveva proposto di iniziare a collaborare portando all’interno di essa calciatrici importanti. Da qui ho capito che questa sarebbe potuta essere la mia strada”.
-In seguito ha deciso di staccarsi e di mettersi in proprio?
“Sì! Non è stata all’inizio una scelta facile, perché sapevo che avrei perso tante giocatrici, ma ho voluto investire su me stesso. Non è stata una scelta egoistica, ma fatta di comune accordo. Poi, fortunatamente, ho potuto conservare una grande collaborazione di respiro internazionale con uno dei migliori agenti a livello femminile internazionale, ovvero Edgar Merino e la sua agenzia ‘SoloCracks’. Tra le sue assistite ci sono calciatrici del calibro di Christiane Endler e Jennifer Hermoso. La nostra collaborazione ancora oggi è forte e viva più che mai. Ora mi sto preparando per passare l’esame di abilitazione: è fondamentale con il professionismo essere sempre aggiornati. Non per me stesso, ma per le calciatrici che si affidano a me”.
-Come si sviluppa una collaborazione internazionale?
“Non parlo in generale, ognuno può fare quello che vuole, ma parlo della nostra esperienza. Tra me ed Edgar c’è un rapporto di stima ed amicizia essendoci anche conosciuti personalmente a Torino durante la finale della scorsa Champions League, in cui proprio Hermoso ed Endler si affrontarono in campo. Lui ha più rapporti di me in Spagna e in altri Paesi, io ne ho più di lui in Italia: io aiuto lui a portare le sue calciatrici qui e lui aiuta me con le mie che vogliono fare un’esperienza all’estero. Attualmente Martina Galloni, portiere classe 2000 che ha militato nel Parma, nel Sassuolo e nel Chievo Verona, e Serena Capello, attaccante esterno classe ’99, stanno giocando al Real Unión de Tenerife. Difficilmente io avrei potuto sapere che un club di terza divisione spagnola cercasse due giocatrici come loro ed Edgar, che ha curato la trattativa, è stato essenziale. Come rovescio della medaglia, io sono orgoglioso di aiutarlo nella gestione di Liucija Vaitukaitytė. La lituana, oltre a essere una bravissima calciatrice, è una ragazza meravigliosa. Ho curato personalmente le trattative con il Pomigliano prima e con il Parma poi. Credo che a lavorare in simbiosi ne guadagniamo tutti, in particolare le calciatrici”.
-Attualmente come si movimenta?
“In primis devo gestire le mie. Seguire una calciatrice non significa farle una telefonata in estate per chiedere se voglia cambiare squadra e magari un’altra a Natale per gli auguri di rito e chiedere se voglia terminare la stagione dove si trova. Seguire una calciatrice significa starle vicino nei momenti difficili: è facile fare l’agente di un fenomeno quando va tutto bene. Bisogna però sapere gestire il successo e bisogna saper fare le scelte giuste, anche scendere di categoria per tornare poi in alto, al momento opportuno. Fatto questo, cerco nuove calciatrici, soprattutto tra le giovani italiane e ora mi sta piacendo ampliare anche il mercato estero. La Lituania è un buon serbatoio: ho portato il difensore centrale Monika Piesliakaitė, assieme all’ex Fiorentina Primavera Rebecca Mani, al Pinerolo. Questi trasferimenti sono stati l’esempio incondizionato di fiducia fortunatamente ben riposta. E sottolineo quel ‘fortunatamente’ perché senza quella non vai da nessuna parte. Loro, infatti, non conoscevano minimamente il campionato di Serie C e ho fatto sapere che Pinerolo sarebbe potuto essere una buona scelta. Attualmente sono prime in campionato. Oltre a Monika, in Lituania ho una delle giovani più forti in assoluto, Judita Sabatauskaitė, classe 2002. Lei non può spostarsi da Kaunas per l’università fino all’estate 2024, ma è un prospetto assoluto sia sotto il punto di vista fisico che tecnico che non voglio perdere. Continuerò a seguirla e la aspetterò: è giusto che ciascuna si prenda i tempi che deve e coltivi anche la parte universitaria della vita. Ci siamo visti da poco perché a inizio mese sono stato in Lituania, proprio a Kaunas, agli Awards del calcio lituano. È stata una bella esperienza: Liucija Vaitukaitytė era nuovamente candidata al premio di miglior calciatrice lituana, che aveva vinto già l’anno scorso. Purtroppo non è arrivata la riconferma, anche a causa dell’infortunio che le ha impedito di giocare la prima metà di stagione con il Parma. Ma va bene così, onore alla vincitrice Ugnė Lazdauskaitė”.
-Cosa pensa del fatto che le italiane possano andare all’esterno e che allo stesso tempo le straniere vengano in Italia?
“Penso che sia molto importante capire che le italiane possano avere un mercato e una ulteriore crescita a livello umano e personale anche andando a giocare fuori dall’Italia. Troppo spesso vedo atlete che si accontentano persino di rimanere in Eccellenza, pur di restare vicino a casa, quando fuori dai nostri confini potrebbero giocare a un buon livello. Come, del resto, penso che tanti club di Serie A in questi anni abbiano portato in Italia fior fiore di giocatrici straniere, con le quale le stesse italiane in rosa sono cresciute tantissimo, perché se vuoi stare al loro passo cresci in allenamento. A me non piace il fatto che si siano ridotte le squadre in Serie A. Tante ragazze, che non hanno qualità sufficienti per giocare nei top club, potrebbero essere buone calciatrici per squadre di medio-bassa classifica, ma queste sono limitate. Penso alla mia Giulia Mancuso, cresciuta nelle giovanili della Juventus e oggi al Cesena. Non si può giustificare la riduzione del numero di squadre con il fatto che i costi del professionismo sono insostenibili. Lo sono, infatti, per molte squadre della metà di destra della Serie B, ma se oggi assistiamo a un’intensa lotta per salvarsi tra Pomigliano, Como, Sassuolo, Parma e Sampdoria e a un’altrettanta intensa battaglia per la promozione tra Lazio, Napoli Femminile, Chievo Verona, Cittadella e Cesena dall’altra, senza dimenticarsi il Brescia che ha sfiorato la Serie A l’anno scorso e il Genoa che vorrà costruire qualcosa di importante in estate, significa che tutti questi club vorrebbero partecipare alla Serie A. Dunque l’insostenibilità, che vale per i club piccoli, è una semplice scusa”.
-Il limite di straniere ha senso di esistere?
“No, non ha senso di esistere alcun limite minimo sulle calciatrici formate in Italia, perché una ragazza forte gioca a prescindere da nazionalità ed età. È come la storia del fuoriquota obbligatorio in Serie D maschile: il giovane gioca perché giovane, non perché meritevole. E quando cresce finisce, se va bene, in Eccellenza. Allo stesso tempo dare l’illusione a delle giovani di essere pronte per giocare in Serie B, quando non lo sono, può portare alcune ragazze ad autoconvincersi di essere pronte per affrontare gare internazionali per poi rischiare pessime figure quando le Azzurrine affrontano altre nazionali importanti come Francia, Spagna, Germania o Inghilterra”.
-Infine un motivo di orgoglio per lei?
“Quando scopro calciatrici che nessuno conosce e si affermano. Penso, oltre alla già citata Judita Sabatauskaitė, a Kimberley Dos Santos Da Graca, calciatrice lussemburghese che ho visto a Vinovo durante il girone preliminare di Champions League con il Racing Lussemburgo, o Claudia Cicco, australiana che ho visto al Torneo di Viareggio con la maglia dell’APIA Leichhardt e adesso gioca come professionista nel Wellington Phoenix. Entrambe si sono affidate a me e credo siano pronte per poter giocare nella massima divisione di un campionato europeo importante. Chissà, magari proprio in Serie A. Quello sarà motivo di orgoglio e soddisfazione. Uno dei percorsi di cui sono più orgoglioso, poi, è rappresentato da quanto fatto da Chiara Cecotti, una ragazza straordinaria e un’atleta speciale. Ha girato all’estero tra Lugano, Bydgoszcz e di nuovo Lugano. In Italia incredibilmente sembravano tutti essersi dimenticati di lei, che in Serie A da giovanissima ha superato le cento presenze arrivando a essere vice capitano del Tavagnacco oltre ad aver fatto tutta la trafila nelle Nazionali giovanili. Sinceramente quando la proponevo e mi veniva risposto di no mi arrabbiavo tanto perché la ritenevo una vera e propria ingiustizia. Lei ha una forza di volontà assurda: se non poteva andare diretta in Serie A dalla porta principale ci sarebbe passata dal retro. Abbiamo concluso una trattativa lampo con il direttore sportivo del Como Miro Keci, persona competente e corretta, che ha fortemente voluto Chiara. Abbiamo sposato il progetto Como credendo nella promozione. Probabilmente sarebbe rimasta anche in caso di mancata promozione visto quanto accaduto. La forza della squadra e la fortuna hanno poi fatto sì che diversi risultati sfortunati venissero ricompensati nel finale di stagione. Il giorno della promozione, all’ultima giornata nel match interno contro la Roma Calcio Femminile, al momento del gol del vantaggio ho versato una lacrima. Perché nessuno meritava la Serie A più di Chiara Cecotti. E c’è arrivata con le sue forze, lottando e perseverando. Questo è il tipo di giocatrice che voglio: determinata, ambiziosa, corretta ed educata. Preferisco una calciatrice meno forte ma corretta rispetto a una più forte ma poco intelligente e poco corretta perché alla lunga la prima in genere prevale quasi sempre sulla seconda. Scendere di categoria, come ha fatto Chiara, per poi risalire è una scelta difficile ma alle volte necessario. Lo ha fatto anche la polacca Katarzyna Siejka, portiere che non trovava spazio in Serie B alla Pink Bari e si è fidata di me scendendo in Serie C per vincere il campionato da titolare con l’Arezzo. Questi gesti di fiducia da parte delle calciatrici, che poi riescono ad avere le soddisfazioni che meritano, sono la miglior soddisfazione per me”.
Danilo Billi