
“Il calcio è di tutti”, tale affermazione è la preferita delle federazioni per descrivere la parità tra le nazionali maschili e femminili, peccato che a parlare sono bravi tutti, ma nel momento di mettere in pratica le chiacchere qualcosa cambia.
Equal pay, allenatori ed allenatrici non all’altezza della squadra affidata, condizioni discutibili delle strutture fornite per i raduni, livello degli allenamenti troppo elementare, oltre al mancato investimento e di conseguenza sviluppo delle nazionali più piccole. Questi i problemi denunciati da varie nazionali femminili negli ultimi quattro mesi e tutti hanno un’unica responsabile: la federazione.
Canada, Spagna, Francia, Cile ultimamente, e Stati Uniti già anni addietro, sono le principali portavoci della rivolta delle nazionali femminili che, non solo cercano un continuo sviluppo, ma anche una parità e non solo salariare rispetto ai colleghi maschi.
Le istituzioni dal loro canto, inizialmente, hanno provato a sviare il problema, ma man mano che le situazioni sono peggiorate, hanno optato per due vie: o schierarsi dalla parte degli allenatori facendo passare per errato il comportamento delle calciatrici, oppure con le dimissioni del presidente, in modo tale da bloccare qualsiasi mossa delle avversarie, poiché senza tale figura non possono essere prese decisioni di nessun tipo.
L’eterna battaglia degli Stati Uniti.
Il modo migliore per riconoscere alle calciatrici la parità con i colleghi maschi sarebbe introdurre obbligatoriamente l’equal pay in tutte le nazionali, cioè la parità salariare, ovviamente in base al livello delle due squadre.
La prima nazione a chiedere a gran voce questo cambio furono gli Stati Uniti, ovviamente visto i risultati ottimi delle ragazze, innumerevoli CONCACAF vinte, quattro ori olimpici e quattro mondiali, rispetto al piccolo palmares dell’USMNT.
Naturalmente la proposta non fu accetta dalla federazione che ha sempre un po’ scavalcato la richiesta delle ragazze, ma, dopo la vittoria del campionato mondiale del 2019, la situazione è diventata decisamente insostenibile e addirittura le due parti sono finite in tribunale.
Dopo tante battaglie legali, finalmente a maggio 2022 la federazione ha accettato e ufficializzato l’equal pay. Grande festa a carattere mondiale, poiché tutto ciò presagiva una possibilità per altre nazionali ma, purtroppo, manca ancora qualcosa per essere a tutti gli effetti perfetto.
Innanzi tutto, quando si parla di una squadra, oltre a considerare le calciatrici, ci sono anche altre figure che prendono parte all’equazione, ovvero lo staff tecnico. Quindi, quando si parla di equal pay anche questa parte deve essere assolutamente inclusa.
Nella dichiarazione dei redditi rilasciata US Soccer Federation, risulta come Vlatko Andonovski, allenatore dell’USWNT, abbia percepito bene il 73% in meno rispetto al collega Gregg Berhalter, CT dei ragazzi: rispettivamente $ 446.495, rispetto i $ 1.641.398.
La differenza è veramente abissale considerando che le donne hanno conquistato sia la CONCACAF e un bronzo olimpico, mentre gli uomini solo la CONCACAF, poiché al mondiale sono usciti agli ottavi di finale a causa della sconfitta di 3-1 contro l’Olanda.
Enough is enough
L’equal pay sembra essere un problema riguardante il Nord America, poiché dopo gli Stati Uniti pure il Canada è in liti con la propria federazione per tale argomento. La storia del CANWNT, forse, è pure più grave rispetto alle “cugine”, visto che all’inizio la proposta è stata pure accettata, ma ovviamente mai messa in pratica.
Canada Soccer Association ha in precedenza creato dei problemi, anche con la nazionale maschile, tanto che a giugno 2022 sono stati loro a scioperare, sia per i molti tagli apportati sia per un mancato bonus, precedentemente promesso, per la qualificazione raggiunta al Mondiale in Qatar.
Con le donne più o meno la situazione è la stessa, visto che nel 2021 era scaduto il precedente contratto per cui nel 2022 le giocatrici, rappresentate dalla Canadian Soccer Players’ Association, hanno proposto di rinnovare in contratto aggiungendo il tassello dell’equal pay.
Sembrava un cammino così facile, ma i mesi andavano avanti e la presenza di questa nuova causa non si faceva viva, tanto che le stesse giocatrici hanno dichiarato di essere stufe e soprattutto pronte a boicottare un camp previsto per aprile.
A inizio febbraio, però, il loro piano è stato distrutto dalle minacce di azioni legali della federazione, ma tale cosa non ha fermato le ragazze a presentarsi alle partite della SheBelieves Cup, torneo per nazionali organizzato dagli Stati Uniti, con una maglietta rosa con una frase molto concreta “ Enough is enough”.
Quando è troppo è troppo, e con questo slogan finalmente le calciatrici hanno conquistato i loro diritti. Qualche giorno fa il presidente della CSA, Nick Bontis, si è dimesso dal suo incarico, ovviamente a causa di questa forte pressione derivante dalla nazionale femminile. Dopo tale mossa, gradita da qualsiasi persona appartenente a squadre ed organi canadesi, il segretario generale di Canada Soccer Earl Cochrane ha dichiarato di aver raggiunto un accordo di finanziamento ad interim con le calciatrici canadesi.
L’accordo finale sarebbe lo stesso proposto ai calciatori canadesi, cioè con incentivi a ogni partita e compensi basati sui risultati. Attualmente si stanno negoziando, con entrambe le squadre, gli ultimi punti verso la stipulazione dell’accordo definitivo.
C’è bisogno di un cambio!
Beh, pensandoci a mente lucida, ovviamente non tutte le federazioni possono permettersi di optare per la parità salariale, soprattutto quelle più piccole o in fase di sviluppo, ma ciò che deve essere obbligatorio, però, sono delle condizioni ottimali in cui le calciatrici possano vivere.
Cile, Francia e Spagna si stanno battendo con tutte le loro possibilità per ritrovare queste condizioni che, in questo momento sono ostacolate da una delle figure più importanti in una squadra di calcio: l’allenatore o l’allenatrice.
In tutte e tre i casi i CT stanno influendo negativamente sullo sviluppo delle nazionali, poiché nessuna è riuscita a raggiungere gli obbiettivi prefissati ed eppure le rispettive federazioni non vogliono intervenire su un cambio di panchina più che necessario.
“Abbiamo fatto quello che ci ha detto, ma evidentemente non ha funzionato. Lo diciamo da tempo ci vogliono altre risorse, ma nessuno ci ascolta” Queste le parole al veleno di Tiane Endler, capitana del Cile e portiera del Lione, al termine del match perso 2-1 contro Haiti, valido per la qualificazione al Mondiale di quest’estate.
La numero uno cilena in più occasioni, in particolare dopo il sorprendete, in negativo, quinto posto alla Coppa America, disputata nell’estate del 2022, ha reso pubblici i pensieri di tutte le giocatrici della nazionale, questionando apertamente l’operato del CT José Letelier.
Quest’ultimo è proprio l’artefice della storica prima qualificazione sia al Mondiale del 2019 sia ai giochi olimpici del 2021, ma purtroppo sembra che il feeling creato a quel tempo con le sue calciatrici sia svanito dal nulla e in questi casi sarebbe veramente opportuno un cambio, anche perché non si tratta solamente di una giocatrice, ma di tutto il gruppo.
La capitana, inoltre, ha fatto capire che, in caso di nessun provvedimento, lei come altre sue compagne sono disposte a lasciare la nazionale.
Le sedici coraggiose
Lasciare la nazionale, anche temporaneamente, a causa di forti scontri con il proprio allenatore è un affronto o un atto di coraggio? Beh, se queste tensioni sono causate da una mal gestione che procura problemi sia fisici che mentali e denunciare il tutto apertamente è veramente un atto di estremo coraggio.
Questa è la storia di sedici calciatrici spagnole (Mapi, Aitana, Claudia Pina, Mariona Caldentey, Patri Guijarro, Sandra Panos, Alexia, Lola Gallardo, Ainhoa Moraza, Amaiur Sarriegui, Nerea Eizaguirre, Andrea Pereira, Leila Ouahabi, Laia Alexandri, Ona Battle e Lucia Garcia), pronte a rinunciare momentaneamente alla maglia “Roja”, con il rischio di perdere anche il Mondiale, a causa delle gravi problematiche con il CT Jorge Vilda.
Quest’ultimo è accusato di non saper gestire una squadra di calcio di questo livello, prima proponendo degli allenamenti non adatti e troppo blandi, (stesso motivo per cui prima Ada Hegerberg successivamente rientrata all’Europeo e ora Caro Hansen hanno lasciato la nazionale norvegese), oltre ad aver atteggiamenti troppo “violenti” verso le sue calciatrici, unit a mal gestione del minutaggio con conseguenti gravi infortuni fisici.
I principali episodi di questa vicenda sono sostanzialmente due. Il primo riguarda Irene Paredes, difensore del Barcellona, immortalata in lacrime dopo una lite con il suo allenatore che, secondo alcune voci, non si sarebbe rivolto in modo molto carino verso la giocatrice, ma con urla e parole molto pesanti. La spagnola aveva pubblicato tramite un post sui social l’accaduto e la sua opinione di prendersi una pausa e riflettere attentamente sul suo futuro con la nazionale.
Il secondo esempio è l’infortunio di Alexia un giorno prima dell’inizio degli Europei, poiché la capitana spagnola era un po’ di tempo che lamentava un affaticamento al ginocchio, ma Vilda ha deciso di fregarsene altamente e di schierare la calciatrice del Barcellona in TUTTE le amichevoli pre campionato europeo. In questo modo, ancora più in sovraccarico, il ginocchio ha retto il movimento effettuato da Alexia in allenamento, con il crociato completamente rotto.
Ovviamente questi sono solo esempi, poiché ci sarebbe altri episodi che descrivono il clima all’interno dello spogliatoio, già da qualche anno, ma sicuramente la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha spinto queste giocatrici a scrivere la lettera della rinuncia è il pessimo risultato dell’Europeo, poiché la Spagna arrivava in Inghilterra come favorita.
Anche in questo caso la Federazione, ha dato piena fiducia all’allenatore, e ha cercato in qualsiasi modo, di infangare il nome delle sedici rivoltose.
Si cambia Paese, ma la situazione rimane la stessa.
Ciò che stanno vivendo le spagnole è la stessa identica situazione che devono sopportare le calciatrici della Francia.
Qualche giorno addietro la capitana transalpina Wendie Renard, tramite un posto, ha ufficializzato il momentaneo abbandono alla nazionale, di conseguenza ha confermato l’assenza al Mondiale, a causa di problemi di salute mentale causati dai forti scontri che avvengono abitualmente nello spogliatoio.
La giocatrice del Lione viene prontamente seguita dalle compagne Diani e Katoto. Quest’ultima ha confermato che la sua scelta deriva principalmente dalla cattiva gestione dell’infortunio subito all’Europeo nella partita Francia-Belgio. Anche per l’attaccante del PSG la dinamica è uguale a quella di Alexia, ha accusato dei fastidi al ginocchio, ma Diacrè ha deciso di schierarla lo stesso contro le belghe.
Se le dinamiche sono simili alla situazione spagnola, qua la federazione ha agito diversamente per cercare di arginare tali proteste.
Innanzitutto scrive un tweet sottolineando che la FFF comanda e le giocatrici devono solo rispettare le loro scelte, successivamente il presidente Le Graet lascia l’incarico in modo tale da bloccare le dimissioni di Diacrè, portando ad oltranza questa guerra.
Ora che si fa?
Per Stati Uniti e Canada la strada intrapresa sembra quella giusta e per le CANWNT manca solo l’ufficialità per raggiungere quell’obbiettivo che tanti problemi ha portato.
Invece, Tiane Endler e il suo Cile sono in attesa di una risposta da parte della federazione, ma anche dal CT per vedere se si riesce ad uscire da tale tunnel senza peggiorare ulteriormente il tutto.
Per Spagna e Francia, però, la guerra sembra solo all’inizio. Per le spagnole, ogni giorno che passa, la montagna diventa sempre più difficile da scalare, poiché gli addetti della federazione, Vilda e addirittura anche compagne di nazionale, colgono sempre il momento per lanciare una battuta su tale scelta.
Adesso le francesi attendono con ansia il 9 marzo, sarà limite per cui la FFF deve prendere una decisione sulla posizione di Diacrè.
Di Valentina Marrè
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